Stomaco, cervello e cuore. Con queste tre parole si può descrivere la linea guida adottata dalla Cantina MESA, dal suo fondatore Gavino Sanna e dall’export manager Luca Fontana che ci ha spiegato, nel dettaglio, le scelte dell’azienda sotto il profilo commerciale e pubblicitario.
Dietro ogni scelta compiuta c’è infatti un obbiettivo ben specifico: quello di creare qualcosa di nuovo, non banale, cercando così di esportare i valori e le tradizioni della Sardegna: “l’isola che non c’è”.
Il tutto inizia dal nome della cantina: MESA. In latino il significato è quello di “tavola”, il luogo, filosoficamente parlando, degli affetti e della famiglia. Il nome lega la cantina e le bottiglie con una sorta di “fil rouge”. Son proprio le bottiglie la parte più caratteristica di questa realtà aziendale sarda. Nel momento in cui sono stati scelti la forma, il colore, le etichette, i nomi, si è voluto creare qualcosa di riconoscibile, e unico. Da qui nasce il colore nero delle bottiglie, che riprende il colore tipico dei vestiti delle donne sarde e i valori dell’isola. Il nero è un colore poco utilizzato, sia per la difficoltà di produzione e gli alti costi che comporta, sia perché non permette di riconoscere “a prima vista” il colore del vino all’interno, caratteristica amata in particolar modo all’estero. Nonostante ciò si è deciso di proseguire per questa strada, difficoltosa e accidentata, ma lastricata dalla convinzione di voler comunicare il senso di appartenenza alla terra, i valori e le tradizioni dell’isola.
Anche le etichette rendono l’idea di questa linea sperimentale. Sul fronte della bottiglia non si trova nessun tipo di descrizione del vino, se non il nome, che per scelta non riprende i nomi delle vigne e non presenta alcun legame lampante con la Sardegna, ricordo bene quella frase buttata lì a mo’ di battuta: “non volevamo portarci dietro l’odore di pecora”. Oltre al nome, sul fronte della bottiglia, si trovano anche dei piccoli camei, tutti diversi e disegnati da Gavino Sanna. Girando la bottiglia si nota invece un’altra particolarità: non è presente nessuna spiegazione tecnica sul contenuto della bottiglia, troviamo solo qualche riga, una poesia sull’anima dei territori, della cantina e del vino stesso (tale particolarità non è stata esportata all’estero, per ragioni puramente di marketing, e così nella traduzione inglese vengono ripresi i canoni tipici che si possono trovare su qualsiasi bottiglia presente in commercio).
Altra sperimentazione è stata attuata nella scelta delle così dette “bottiglie piccole”. Non si è seguita la linea standard delle bottiglie da 375ml, in quanto avrebbero distorto l’estetica delle bottiglie Mesa. Unicamente per questo fatto, e non per ragioni commerciali, come sottolineato da Luca Fontana, si è deciso di puntare su bottiglie da 500ml. Una scelta vincente. A dimostrazione che non sempre il successo è conseguenza di quei famosi studi di mercato tanto amati dall’economia, delle volte basta “seguire il cuore”.
L’obbiettivo della cantina infatti non è solo quello di vendere il vino, ma esportare il sogno e l’emozione di quell’isola molte volte dimenticata: la Sardegna. Un obbiettivo che fino ad ora sembra essere stato raggiunto, vedendo la crescita esponenziale nel numero di bottiglie prodotte e vendute, che sono passate da 40.000 pezzi del 2006 ai 750.000 pezzi del 2016.
“Non è importante cosa vendi, devi parlare al cuore delle persone”.
Michele Frigerio