Il Salone del Vino | La cantina Petra

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Immaginate di essere un viandante che sta percorrendo le colline di Val di Cornia, non lontane dall’antico borgo di Suvereto. Improvvisamente vi imbattette in una sagoma imponente, una sorta di cattedrale incastrata nel pendio della montagna. Questo monumento, che sembra tutt’altro di ciò che è veramente, accoglie una pratica antica quanto l’uomo: la produzione del vino.

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Il mare porta il libeccio a Petra, distribuendo silenziosamente alle sue colline la salsedine. Ossida il ferro e arrossisce il suolo, polverizza la forza dei rami caduti che tornano alla terra che si vena di nero. Nascono e vivono le querce di sughero che danno il nome a Suvereto, mentre il cielo illumina il lavoro degli uomini e scalda un terreno generoso di frutti, fiori e frumento, rendendo ricca l’uva da cui l’uomo produce il vino.

Fin dall’origine il vigneto ha avuto la funzione di ordinare il territorio in base a proporzioni e misure, nonché ripartirlo in una serie di figure geometriche.

Nell’entroterra di Piombino a scandire il ritmo del territorio è la cantina Petra, frutto del genio dell’architetto Mario Botta.

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Cantina unica in un luogo unico, Petra riceve dal cielo e dalla terra il misterioso segreto,e alla terra e al cielo lo ritrasmette attraverso la produzione di vini
che hanno l’anima della Maremma toscana e lo spirito che parla dei segreti di una lingua antica.

Realizzata per conto della famiglia Moretti, questa costruzione monumentale è costituita da un corpo centrale cilindrico, sormontato da una copertura vegetale che si adegua al ritmo delle stagioni, richiama le architetture classiche, dal Phanteon alla Rotonda, sottolineando il legame con gli antichi stili del passato.

La magia di Petra è costantemente accarezzata da venti che risvegliano memorie viticole ed enologiche del tempo dei Greci e degli Etruschi. Ciò che è moderno e funzionale è nello stesso tempo tradizione profonda che si perde nelle linee di una storia. È lo strato sotterraneo – della terra, degli uomini, del loro ininterrotto racconto – che Petra rivela e svela.

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Con la sua verticalità penetra il segreto che sta sotto, lo oltrepassa, lo attraversa, lo conosce, lo fa suo. L’azienda moderna, bella e funzionale, diventa il territorio, ad esso si abbandona e lasciandosi andare lo riporta in alto, lo eleva, paradiso ritrovato del Tempo che torna a rivivere, richiamo e accenno a qualcosa che va oltre la terra stessa.

All’interno di questo grande volume si trova la sala della vinificazione, collegata superiormente al luogo dedito alla raccolta delle uve vendemmiate e alle operazioni di desparatura e pigiatura. La gradinata, posta in copertura sulla falda, segue la pendenza della collina. Ricordando nelle sue forme l’iconica gradinata di Villa Malaparte.

Ai lati due possenti bracci sostengono uno strato di terra coltivato a vigneto che si fonde con la collina, andando a incorniciare e arricchire la parte frontale dell’edificio.

La facciata è caratterizzata da due corpi porticati: a sinistra vi sono i locali per l’imbottigliamento, la confezione, la spedizione, l’immagazzinaggio e uffici amministrativi, a destra un’area museale.

All’interno dell’edificio, superata una grande sala coperta con una enorme volta a botte a sezione ribassata, si giunge in uno spazio concepito per la conservazione del vino.

La luce diminuisce progressivamente man mano che si giunge nel cuore della montagna dove è stato scavato l’edificio, creando un ambiente suggestivo e ideale per l’invecchiamento del vino nelle barriques.

La pavimentazione delle barricaie è costituita da una sequenza di insoliti vassoi in cemento prefabbricato rivestiti parzialmente in un bellissimo cotto di Impruneta in modo che i percorsi risultino resistenti e adatti al transito delle persone e dei muletti di carico e scarico, mentre le barriques riposano su un letto di ghiaia posto direttamente a contatto con il terreno.

La cantina Petra è uno splendido esempio di architettura che unisce l’efficienza dei processi produttivi con il rispetto della natura. L’accresciuta attenzione dei produttori per la qualità del vino, conseguenza di un mercato sempre più selettivo, hanno orientato le case vitivinicole a realizzare delle architetture che rispondano all’esigenza di unire alla funzionalità il gusto del bello, nel rispetto del territorio circostante.

È proprio attraverso l’architettura delle cantine che è possibile interpretare nel tempo gli sviluppi tecnologici, traducendo in concreto i valori culturali e ambientali tipici di un territorio.

Ciò che scaturisce è un manufatto simbolo della fusione tra la progettualità dell’uomo e il paesaggio. Da un lato abbiamo infatti l’agricoltura, rappresentata dalla vigna esposta a molteplici rischi climatici che non è possibile controllare, dall’altro la necessità dell’uomo di utilizzare le sue conoscenze per manipolare le uve, trasformandole in un prodotto finito.

Essenziale diventa quindi il luogo di questa riconciliazione: la cantina non deve essere pensata solo come struttura finalizzata alla trasformazione e alla conservazione del vino, ma come simbolo del produttore e dei valori in cui crede tramite la valorizzazione del territorio naturale.

Lo stesso Mario Botta afferma che “per questa cantina Vittorio Moretti ha cercato, al di là degli aspetti funzionali, soprattutto un’immagine capace di comunicare la passione e l’impegno necessari a sorreggere questa sua nuova avventura”.

Nel passato la cantina era principalmente sotterranea, al riparo dalle intemperie e dagli eventuali sbalzi termici, spesso realizzata con tecniche murarie che denotavano grande maestria.

Dalla metà degli anni Novanta iniziò a diffondersi un atteggiamento culturale inedito, basato sul ruolo dell’architettura di comunicare simboli, fino ad allora svolto da istituzioni fortemente rappresentative in ambito economico/politico quali municipi, chiese, biblioteche.

Una nuova committenza cominciò ad avvalersi della fama degli architetti e artisti più noti per la realizzazione di progetti attenti alla ricerca dei materiali e del loro impatto sul territorio.

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Il focus sulla tutela terroir si riscontra nelle diverse fasi del processo produttivo adottate dalla famiglia Moretti. Dopo la vendemmia manuale, le uve sono lavorate nel livello superiore della struttura: gli acini sono separati dal raspo per essere poi messi in apposite vasche di macerazione e fermentazione. Seguendo l’andamento verticale della struttura si giunge, attraverso le gallerie d’invecchiamento, al cuore della collina. È qui che si raccoglie e viene custodito in un silenzio tombale l’elisir. Prima i vini riposano e affinano in barrique, per poi essere travasati in bottiglia.

Il metodo di coltivazione del tutto naturale evidenzia l’amore che questa famiglia nutre nei confronti del territorio in cui opera.Schermata 2018-03-13 alle 07.37.43

Il ciclo produttivo è attento non solo a rispettare la tradizione nelle sue logiche funzionali, ma è capace di cogliere anche la sensibilità dell’ambiente.

È l’ambiente stesso a suggerire il modo migliore per arrivare a un vino espressivo e rappresentativo.

Questa cantina è nata dall’idea di Vittorio Moretti e proseguita da sua figlia Francesca, abile enologa ed esperta del territorio, insieme al professor Attilio Scienza, ha analizzato e studiato il territorio per poter creare un’opera che si fondesse con esso, per realizzare cioè un manufatto che lasciasse un segno nella memoria delle persone.

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L’accurato studio di zonazione di Attilio Scienza individua tre principali tipologie di suolo. Il primo, sommatale, di origine tettonica: terreni pietrosi, talvolta calcarei, con strato di terra non molto erto, poveri, siccitosi, non molto argillosi;

Un altro formato da fenomeni alluvionali, erosivi e di accumulo, ricchi di manganese e di metalli;e il terzo, la parte più bassa, con terreni ricchi di limo, che consente al vino di liberare tutta la sua eleganza e il suo profumo.

All’attenta analisi del territorio si unisce la volontà di perseguire delle strade ecosostenibili per la produzione del vino: è stato infatti installato un innovativo impianto fotovoltaico su acqua grazie al quale è stato possibile azzerare l’impatto energetico degli impianti, senza privare l’ambiente di un solo acro di terra.

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La Cantina Petra, “luogo delle antiche pietre”, è la dimostrazione dell’unione tra la bellezza di un paesaggio e l’architettura che intende proteggerlo, esaltando le peculiarità del territorio.

Dalla vigna alla bottiglia, il principio di gravità rivela il lento movimento che dall’alto, a Petra, porta verso la terra, come mostrano i tre cerchi dell’etichetta: cielo-uomo-terra.

Anna d’Ovidio

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