Una ricerca svolta da Mediobanca e commissionata da Ornellaia, uno dei maggiori produttori di vini toscani e italiani, ha recentemente dimostrato che senza dubbio converrebbe investire nel mercato del vino. Approfondendo il risultato di questo studio, un euro investito nel 2001 nel settore vinicolo ora ne varrebbe 5,4. Di contro, un euro investito nelle borse mondiali sarebbe diventato dopo questi ultimi 15 anni solamente 1 euro e 60 centesimi.
L’indice di borsa mondiale di questo particolare settore è nel tempo cresciuto del 336%. La sua deviazione standard (la sua volatilità) dal 2007 ad oggi è stata solamente di 0,11 mentre l’indice di Sharpe di settore ha registrato un valore di 0,49. L’indice di Sharpe è un indicatore che esprime il rapporto tra il rendimento del titolo al netto della sua componente non rischiosa, ovvero del suo tasso risk-free, e il suo rischio. Un valore come quello in questione è da considerarsi sicuramente come positivo.
Investire in titoli azionari si è quindi rivelato essere un metodo alternativo a quello tradizionale, che presume di comprare bottiglie pregiate da rivendere poi a prezzo maggiorato in un periodo seguente. Tradizionalmente investendo in una bottiglia di Ornellaia si può difatti ricavare un guadagno superiore del 160% rispetto all’investire nei mercati finanziari.
Perché questa differenza così netta?
Le ragioni principali vanno ricercate nelle performance delle aziende vinicole negli ultimi anni. Il settore vinicolo è un mercato costantemente in crescita, soprattutto nel nostro paese. Nel 2015 l’Italia ha superato la Francia, leader indiscusso da molti anni nel mondo vinicolo, nella produzione di vino con 44,5 milioni di ettolitri; l’export è cresciuto dal 2005 del 23% in quantità e del 84,3% in valore. Di particolare rilievo l’ultima percentuale, sintomo di uno sforzo volto a superare le critiche che volevano il sorpasso italiano sui transalpini come privo di valore e proveniente da vendite di vini modesti. La crescita in questione dell’export ha addirittura superato quello fortemente consolidato del food italiano all’estero, comunque positivo e pari a circa il 74%. Uno dei principali fattori che hanno spinto verso questo risultato è stata la penetrazione e conquista del mercato asiatico e soprattutto delle grandi ‘tigers’ orientali.
Il principale produttore è ancora una volta il Gruppo Cantine Riunite – GIV con un fatturato di 536 milioni di euro. Questo grande conglomerato è non solo leader in Italia ma ha rilevanti quote in 80 mercati esteri, primi tra tutti quelli inglese e americano. Veneto e Toscana sono invece le due regioni trainanti con aziende caratterizzate dai maggiori ROE, mediamente pari a 9,8% e 5,3% rispettivamente. La prima delle due regioni si conferma leader per forza dei bilanci delle sue cantine vinicole rappresentate soprattutto dal Gruppo Botter e Cantina Masi.
Gli italiani investono nel settore vinicolo?
Uno studio effettuato dal Censis riguardo alle famiglie italiane e alla loro propensione ad investire ha trovato come queste preferiscano, in percentuale pari al 42,5%, investire ancora in attività o iniziative proprie. Tuttavia il 30,6% degli intervistati ha risposto che spenderebbe i propri guadagni nel settore alimentare o vitivinicolo italiano individuandolo come una buona e sicura opportunità di guadagno. Questo dato sottolineerebbe come metodo di investimento in questione non sia così “lontano” dal quotidiano e anzi, venga riconosciuto come valido nella coscienza comune.
Tommaso Danieli