Lo scorso fine settimana ha visto lo svolgimento della terza edizione del Live Wine presso il Palazzo del Ghiaccio (MI). Per due giorni consecutivi oltre 150 vignaioli italiani ed internazionali hanno presentato al pubblico amatoriale e agli esperti del settore vini che hanno la particolarità di essere realizzati attraverso metodologie consapevoli e sostenibili, sempre alla ricerca della migliore qualità organolettica.
Durante il Live Wine è possibile infatti degustare tutti i vini delle cantine presenti, con la possibilità di acquistare in loco le bottiglie che si preferiscono direttamente dai produttori. Contemporaneamente, all’interno dello stesso padiglione ma in una sala a parte (Sala Piranesi) è stato possibile prendere parte a degustazioni a tema guidate da Samuel Cogliati, relatore AIS, giornalista e scrittore molto apprezzato nel settore.
Personalmente, ciò che ritengo essere il più forte segno distintivo di questo appuntamento internazionale è la passione trasmessa dai singoli produttori, facilmente percepibile di persona nel momento della degustazione. Il vino artigianale è innanzitutto un prodotto realizzato e imbottigliato da persone semplici che vivono nella cantina quotidianamente; è un vino proveniente da vigneti non trattati con prodotti chimici di sintesi, e l’uva da cui proviene è vendemmiata in maniera artigianale. Si tratta di un vino genuino, che a molti può suonare di retorica, ma che ha un significato ben preciso: questo vino deve essere il meno artefatto possibile e allo stesso tempo avere caratteristiche di buona bevibilità e salubrità.
Anche per questi motivi, ai produttori presenti al Live Wine è richiesto di attenersi a dei limiti precisi: non si possono superare i 50mg/l di solforosa totale per i vini rossi (la legge italiana ne consente fino 150 mg/l), questo limite sale a 70mg/l per i vini bianchi e rosati (contro i 200 mg/l consentiti per legge), ed infine per i vini dolci il limite accettato è quello fino a 100 mg/l (contro i 200 consentiti in Italia).
Ultima caratteristica del salone, ma non per importanza, è infine la varietà; potremmo parlare di diversità o addirittura di biodiversità. I colori ma soprattutto i vitigni coinvolti nella produzione vengono privilegiati particolarmente perché possiedono le unicità organolettiche delle varietà autoctone. Ogni vino presente è un prodotto unico che offre un’esperienza di consumo differente, sintesi naturale degli elementi quali il territorio, il microclima, l’annata, il momento della vendemmia, le scelte di lavorazione della cantina. Ogni fattore ne determina le caratteristiche finali.
Concludendo, se chiamarli naturali non è corretto per legge, artigianali potrebbe essere fuorviante. Ciò che realmente accomuna i vini del Live Wine è la “filosofia non interventista”.
Tra tutti i partecipanti quelli che personalmente ho preferito sono stati:
Sweet Claire Quintessenz, cantina LieseleHof
Giulia Mazzella